Per un adepto Zen la realizzazione di una pittura ad inchiostro è un atto spirituale molto simile ad una preghiera, ovviamente non al livello superficiale di richiesta di salvezza ma nel senso che è un momento mistico in cui si entra in contatto con la rivelazione del significato dell’esistenza ed il nostro io svanisce, per entrare a far parte di qualcosa di talmente diverso e più grande da essere incomprensibile razionalmente ed indescrivibile con parole. Non importano il soggetto né il grado di abilità tecnica, è semplicemente un tempo di raccoglimento interiore che prende forma sulla carta, un decidere di staccarsi per un attimo dalla routine quotidiana per coltivare lo spirito.
Allo stesso modo della preghiera esiste una base rituale che precede quello che sarà poi l’atto creativo, tutti quei gesti codificati che servono in realtà solo come preparazione interiore per aprirsi verso l’infinito: chi ha provato questa sensazione racconta di come, dopo aver creato il vuoto dentro di sé, il corpo riesca ad eseguire spontaneamente movimenti precisi, secchi ma fluidi, poiché è entrato senza ragionamento nello scorrere dell’universo[1].
Il rito è il seguente: dopo essersi messi in ginocchio sopra ad un cuscino, seduti sui talloni, per prima cosa bisogna posizionare il mosen (panno simile al feltro) sul pavimento e stendervi sopra la carta; poi si inizia a disporre accuratamente per terra vicino al foglio tutto il materiale necessario. Occorrono pennelli di diversa grandezza, che si appoggiano sul loro astuccio apribile in bambù, e poi un recipiente per l’acqua, almeno tre piattini [2], le stecche di inchiostro ed una particolare pietra chiamata suzuri. Esistono molti tipi di inchiostro (sumi), a seconda del colore, della provenienza e della tecnica con cui è stato prodotto; il più pregiato è quello di colore tendente al blu prodotto in Cina. Il sumi si presenta in forma solida, e per poter essere utilizzato bisogna bagnarlo e sfregarlo sul suzuri fino ad ottenere una pasta più o meno liquida a seconda della quantità di acqua ed inchiostro utilizzata. Da queste dosi dipende anche la tonalità che si ottiene (cfr. nota num. 2) e mano a mano che ognuna è pronta la si dispone su un piattino. Durante questa operazione di produzione dell’inchiostro l’artista si prepara mentalmente, cercando di accordare il suo essere alla materia che sta maneggiando, allo scorrere universale di tutte le cose; e poi di dimenticare se stesso, l’inchiostro, l’universo e di focalizzare nella sua mente la “forma senza forma”[3] che intende riprodurre. Esistono anche vari esercizi specifici, di rilassamento e meditazione che si possono fare per riuscire a raggiungere una condizione in cui siamo totalmente pervasi dal ki, il soffio vitale energetico che muove tutto quanto. Secondo le filosofie orientali esiste infatti questa unica, immensa energia che anima il mondo: condensandosi e disperdendosi in vari modi, crea cose che una volta formatesi continuano ad essere dinamiche, nulla si ferma perchè tutto partecipa del grande respiro.
Ora siamo pronti: siamo diventati strumento dell’ispirazione. Ora che siamo rilassati e ci troviamo nello stato mentale in cui sappiamo che tutto è vuoto e che noi stessi in realtà non esistiamo ma siamo semplicemente un fascio di energia, possiamo trasformarla in oggetto d’arte facendola passare attraverso la nostra esperienza di esistenza come uomini. Il rito preparatorio richiede tempo, calma e concentrazione, l’esecuzione vera e propria invece deve avvenire in modo rapido ed immediato: ogni singolo tratto di pennello deve essere assolutamente preciso e sicuro, anche perché non sono ammesse cancellature né ripensamenti.
Pennello ed inchiostro hanno un ruolo fondamentale, poiché la produzione pittorica deve avvenire in assoluta assenza della volontà dell’io, deve assomigliare all’accadere sua sponte di tutti gli esistenti dovuto al soffio-energia, all’alternanza di yin e yang: allora il pennello, penetrante, rappresenta l’elemento maschile dinamico yang (maschio, positivo, sole, terra), mentre l’inchiostro, ricevente, rappresenta l’elemento femminile in quiete yin (femmina, negativo, luna, acqua). Appena il polso dell’artista sarà all’unisono con la pulsazione universale egli non deve fare altro che iniziare a dipingere maneggiando i suoi strumenti senza perdere il ritmo; non occorrono occhi per contemplare modelli, genio o virtuosismo tecnico, una buona pittura dipende dall’intesa tra lo spirito ed il polso.
Lo Zen utilizza la visione profonda dell’universo oltre che per la semplice meditazione anche per creare qualcosa di concreto, aprendoci una piccola via per imparare ad applicare la teoria alla pratica di quel momento ed infine alla vita di tutti i giorni: chi vuole dipingere ciò che effettivamente è, deve innanzitutto comprenderlo e poi trovare un modo per esprimerlo. Così, tra le altre cose, nascono bellissime pitture ad inchiostro.
Anche se in teoria il suiboku-ga inteso come momento di meditazione Zen potrebbe raffigurare qualsiasi cosa, in pratica i soggetti classici per tradizione sono riconducibili a solo tre categorie: ritratti e caricature, calligrafia, pittura di paesaggio (sansui-ga).
I dipinti di figure umane possono essere doshaku, cioè celebri personaggi buddhisti, taoisti o popolari (casi in cui molto spesso ci troviamo davanti a vere e proprie caricature), oppure chinso, cioè ritratti di maestri e monaci Zen di alto rango (casi in cui il ritratto era più formale e diventava oggetto di venerazione; se segnato da un’iscrizione calligrafica dello stesso maestro, era per l’allievo una sorta di riconoscimento dell’avvenuto satori)[4].
Per quanto riguarda le calligrafie, esse possono essere sia ideogrammi che semplici forme geometriche ricche di significato, come ad esempio il famoso enso, il cerchio Zen che è il più perfetto simbolo del vuoto. Non bisogna dimenticare il fatto che in paesi come la Cina ed il Giappone, che hanno una scrittura ideografica, la calligrafia è considerata importantissima in quanto madre di tutte le arti figurative.
Il paesaggio è uno dei soggetti che meglio incarnano lo spirito sia cinese che giapponese, e, secondo me, è anche il più affascinante e ricco di spunti per ogni singolo spettatore e non solo per gli adepti; esistono inoltre alcune motivazioni che lo rendono molto importante per lo Zen.
[1] Per tutte le notizie tecniche sulla pittura ad inchiostro contenute in questo paragrafo, comprese quelle in nota, cfr.: Tanchu Terayama Zen brushwork ed. Kodansha international, Tokyo 2003; Kay Morrissey Thompson The art and technique of sumi-e ed. Charles Tuttle company, Singapore, 1994; Ryukyu Saito Japanese ink painting ed. Charles Tuttle company, Singapore, 1959.
[2] In questi piattini verrà posizionato l’inchiostro pronto per essere usato. Infinite sono le gradazioni possibili ma sono tre quelle fondamentali: “noboku”= inchiostro grosso, che è il tono più scuro; “chuboku”= inchiostro medio, che corrisponde appunto ad un valore intermedio; ed infine “tanboku”= inchiostro sottile, il tono più chiaro.
[3] Cfr. nota 2 del paragrafo precedente.
[4] Cfr. Gabriele Bigliani Pittura Zen ed. stampa alternativa, Terni 1994. Pag. 15