Primo passaggio: dimenticare il sé

Primo passaggio: dimenticare il sé

Dimenticare il è il primo passo verso l’infinito, non solo per lo Zen ma per tutto il Buddhismo in generale.

Le quattro nobili verità[1] stabiliscono l’origine della sofferenza ed insegnano la via per la cessazione di essa: la sofferenza (dukkha = malattia) della vita umana è causata da “tanha (letteralmente significa “sete”), il desiderio, poiché il nostro io è in preda al triplice fuoco[2] della bramosia; la via che conduce alla fine della sofferenza consiste nel porre fine all’attaccamento intraprendendo un processo di autotrasformazione, cioè seguendo l’ottuplice sentiero[3] che insegna il perfezionamento delle virtù morali, di quelle intellettuali e della meditazione.

Per quanto riguarda la pratica della meditazione, esistevano già in India molte tecniche e teorie anche prima del Buddha: egli le rispetta e le conserva ma le considera semplici mezzi per calmare e rasserenare la mente, transitorie e non durature per quanto riguarda l’estinzione della sofferenza; infatti aggiunse ad esse una tecnica che egli considerava più utile a questo scopo, la “meditazione introspettiva” (vipassana) che attraverso l’analisi critica dell’esperienza soggettiva porta a capire che non esiste un soggetto perché tutto è vuoto[4] .

“Comprendere che non c’è un soggetto nascosto cui appartengono sensazioni, sentimenti, stati d’animo e idee, ma che esistono solo le esperienze, è l’intuizione che trasforma il nostro essere ed avvia il processo dell’illuminazione. Riconoscere che in ultima analisi non esiste un soggetto che ha i desideri, indebolisce e alla fine distrugge definitivamente la bramosia (…). Dal punto di vista dell’esperienza è come scrollarsi di dosso un pesante fardello: i clamori dell’io, con le sue vanità, illusioni, brame e delusioni sono ridotti al silenzio. Il risultato non è una sorta di stoica passività, le emozioni non sono soppresse, ma semplicemente liberate dalle sollecitazioni e distorsioni causate dalla forza gravitazionale dell’io. Nella misura in cui il girotondo della bramosia e della gratificazione egoistica rallenta e si arresta, e subentra un più profondo e duraturo senso di pace e di soddisfazione, gli altri esseri entrano a far parte più pienamente del nostro orizzonte emotivo.” [5] .

Dimenticandoci di noi stessi, facendo entrare il grande vuoto cosmico all’interno del nostro io, si giunge in uno stato di armonia in cui “l’uomo pensa e non pensa. Pensa come la pioggia che cade dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare; pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno; come le foglie verdi che germogliano sotto la brezza primaverile. Infatti è lui stesso la pioggia, il mare, le stelle, il verde.”[6] . Anche se forse, per raggiungere in modo completo questa pace, occorre andare oltre, fino al secondo punto della via dello Zen: superare ogni dualismo.

indietro | avanti


[1] Le quattro nobili verità, o pilastri della saggezza, sono il fondamento del Buddhismo, che il risvegliato comunicò ai suoi discepoli a Benares, nel parco dei daini, durante il suo primo sermone dopo l’illuminazione. Esse sono:

1)la vita è sofferenza

2)la sofferenza è causata dal desiderio

3)la sofferenza può avere fine

4)via che conduce alla fine della sofferenza

[2] Il desiderio si manifesta in tre forme principali:

1)sete di piaceri dei sensi (cupidigia)

2)sete di esistenza, volontà di essere (ignoranza)

3)lato oscuro del desiderio: sete di non essere, desiderio di distruggere (odio)

Queste tre radici del male sono rappresentate simbolicamente nell’arte buddhista sotto forma di animali, rispettivamente un gallo, un serpente ed un maiale, che si inseguono in circolo al centro della ruota della vita.

[3] La quarta nobile verità è quella della “via”, e la via per uscire dalla sofferenza è schematizzata nell’ottuplice sentiero, che delinea il modo in cui saggezza, moralità e meditazione debbano essere coltivate da ognuno con continuità.

Saggezza

– retta comprensione (degli insegnamenti del buddha)

– retta decisione (dedicarsi allo sviluppo di atteggiamenti positivi)

Moralità

– retto eloquio (dire la verità e parlare riflettendo)

– retto agire (astenersi da azioni sbagliate)

– retto modo di sostentarsi (non nuocere agli altri per sopravvivere)

Meditazione

– retto sforzo (controllo dei propri pensieri)

– retta concentrazione (coltivare lo stato di consapevolezza)

– retta meditazione

[4] Per tutte le notizie sul Buddhismo, comprese le note 12,13,14, cfr. Damien Keown Buddhismo ed. Einaudi, Torino 1999.

[5] Ibid. Damien Keown, pag. 98.

[6] Eugen Herrigel Lo Zen e il tiro con l’arco ed. Adelphi, Milano 1975. Introduzione a cura di D. T. Suzuki pag.13.


indietro | avanti

Questo sito si avvale di cookie tecnici necessari al funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Cookie policy