Discepoli e continuatori di Sesshū

Nell’arco della sua lunga vita Sesshu ebbe moltissimi discepoli, ma non tutti divennero grandi artisti e della maggior parte non sappiamo neppure il nome. Gli unici che conosciamo sono: Shugetsu, che accompagnò Sesshu nel suo viaggio in Cina; Toetsu, per il quale il maestro realizzò il “rotolo corto” (cfr. paragrafo “paesaggi”, nota 179), ed infine Soen, il discepolo cui donò il paesaggio haboku.

Shugetsu (nome che significa “luna d’autunno”) Tokan, nato nella provincia di Satsuma, fu uno dei primi discepoli di Sesshu e si specializzò nel dipingere dal vero e nel costruire ordinate pitture in stile shin, realizzando molti bellissimi paesaggi (anche cinesi dal momento che anch’egli si recò in Cina), che spesso vengono addirittura confusi con quelli del maestro.

Non abbiamo molte notizie, né opere superstiti di Toetsu, l’allievo di Sesshu che studiò presso di lui nel Kyushu la maniera gyo e che ricevette per questo dal maestro il rotolo Asano (cfr. paragrafo “paesaggi”).

Purtroppo non ci resta granché, anche se abbiamo qualche opera autografa, neppure di Soen, il discepolo prediletto di Sesshu che imparò lo stile so e cui il maestro donò il suo più grande capolavoro, cioè il paesaggio haboku; sappiamo solo che era originario della provincia di Sagami e che, lasciato il maestro, tornò a casa e divenne monaco del famoso tempio Engaku-ji di Kamakura.

Oltre che per i suoi discepoli diretti, Sesshu fu un maestro anche per tutte le generazioni successive di artisti giapponesi che, sia che si ispirassero a lui sia che adottassero un altro stile, comunque lo considerarono sempre un artista sublime, un maestro ed uno tra i padri della pittura nazionale. Vorrei concludere questa tesi con un rapido elenco di coloro che, nell’arco del secolo successivo alla sua scomparsa, si dichiararono apertamente continuatori dello stile di Sesshu.

Sesson Shukei (1504-1589)[1] ad esempio, considerato l’ultimo grande artista del periodo Muromachi, anche se non conobbe Sesshu potrebbe essere considerato il vero continuatore del suo stile (forse egli stesso, scegliendo per il suo nome il kanji[2]setsu”, intendeva dichiarare questa discendenza ideale) dal momento che, dotato di formidabile talento naturale, assimilò tutti gli insegnamenti che l’arte del maestro (ed in generale di tutti i grandi artisti) poteva offrirgli e in molti casi, lasciandosi guidare dalla propria creatività, lo superò addirittura.

Anche gli artisti della scuola Kano, pittori ufficiali dello shogun per più di trecento anni, per quanto si presentassero come realizzatori di opere in stile nazionale, rifiutando la pittura monocroma di origine cinese per dedicarsi ad uno stile più decorativo, colorato e soprattutto laico, guardarono sempre a Sesshu come ad un maestro ed utilizzarono le sue opere, svuotate di ogni significato spirituale, come fonte di ispirazione, realizzandone molte copie come esercizio. Il fondatore di questa scuola, Kano Masanobu (1434-1530)[3], fu contemporaneo di Sesshu ed esiste anche una storia che testimonia il fatto che si conoscevano: si racconta che un giorno lo shogun Yoshimasa (1449-1474) chiamò Sesshu per commissionargli un’opera, ma questi cortesemente rifiutò, raccomandando al suo posto proprio Kano Masanobu, dimostrando così pubblicamente di apprezzare molto il suo stile.

In epoca Momoyama (1573-1615) troviamo due artisti che addirittura si contesero dal punto di vista legale il titolo di legittimi successori di Sesshu: Hasegawa Tohaku (1539-1610) ed Unkoku Togan (1547-1618). Il primo, grandissimo artista, autore del meraviglioso paravento con pineta conservato al Museo Nazionale di Tokyo, era originario della penisola di Noto dove a vent’anni aveva intrapreso la carriera di artista indipendente realizzando icone buddiste; all’età di trent’anni giunse a Kyoto, dove divenne uno degli artisti favoriti del maestro del tè Sen no Rikyu e fondò una propria scuola di pittura che si contrapponeva a quella Kano. Riuscì ad entrare in possesso del rotolo Asano (cfr. paragrafo “paesaggi”) realizzato da Sesshu per Toetsu, e finchè visse[4] lo conservò come un grande tesoro: egli ammirava così tanto il lavoro e la figura di Sesshu infatti, da prendere in prestito dal nome Toyo la sillaba “to” per il suo nome d’arte (Tohaku appunto), e da dichiararsi “Sesshu di quinta generazione”. Proprio su questo punto nacque la disputa legale tra Tohaku e Togan: Unkoku Togan infatti, oltre ad essere un bravo pittore, era anche un guerriero a servizio della famiglia Mori (successori degli Ouchi, cfr. capitolo quarto) di Yamaguchi; dopo aver realizzato, nel 1593, su richiesta del suo signore, una copia perfetta del Rotolo lungo delle quattro stagioni (opera ancora esistente e conservata nel museo della famiglia Mori ad Hofu, nello stesso luogo in cui si trova l’originale di Sesshu), ottenne in cambio di potersi stabilire e fondare la propria scuola d’arte nella casa studio di Sesshu Unkoku-an (nome da cui prese poi il suo cognome d’arte Unkoku) e quindi si considerava l’unico legittimo successore del grande maestro. Intraprese così un’azione legale nei confronti di Tohaku, per impedirgli di proclamarsi discendente di Sesshu, e vinse la causa ottenendo l’esclusiva su questo titolo onorifico, anche se probabilmente il suo rivale se la sarebbe meritata di più da un punto di vista strettamente artistico. Unkoku Togan infatti, pur essendo comunque considerato dalla storia dell’arte un grande artista, non era dotato di straordinario talento né di particolare creatività: si limitò a copiare pedissequamente il linguaggio pittorico di Sesshu, utilizzando le opere del maestro come una sorta di vocabolario per realizzare dipinti che non sono altro che combinazioni differenti di motivi già noti[5]. Il figlio di Togan, Toeki, continuatore della scuola Unkoku, riuscì ad essere un artista più originale.

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[1] Monaco zen della setta Soto, visse sempre in un piccolo paese vicino a Tokyo ed imparò a dipingere da autodidatta. Ebbe molti discepoli, ma nessuno sopravvisse alla storia; sappiamo da un suo scritto (“Setsumonteishi”, istruzioni ai discepoli) che insegnava loro a studiare i grandi maestri del passato, ma anche a considerarli semplicemente un punto di riferimento, poiché ogni artista deve riuscire a trovare il proprio modo di esprimersi.

[2] Kanji è il nome dei caratteri giapponesi.

[3] Cui si affiancò presto il figlio, Kano Motonobu (1476-1559), che poi porterà avanti la tradizione della scuola: anch’egli probabilmente ebbe modo di conoscere Sesshu.

[4] Cfr nota: fu un discendente di Tohaku che vendette il prezioso rotolo ad Hosokawa Sansai.

[5] Cfr. Miyeko Murase L’arte del Giappone, cit. pag.228.


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